Costituzione della rete dei boschi vetusti dei Parchi Nazionali dell’Appennino meridionale


Il 28 e 29 maggio scorso ha avuto inizio la seconda campagna dei rilievi per la caratterizzazione dei boschi vetusti del Parco Nazionale del Pollino.

Il progetto finanziato nell’ambito della Direttiva Biodiversità del Ministero dell’Ambiente è stato avviato alla fine del 2012 attraverso la costituzione di un partenariato con i parchi della Sila, Aspromonte, Cilento e Appennino Lucano. Il Parco del Pollino è capofila del progetto

Dopo i quattro siti caratterizzati lo scorso anno (la faggeta-cerreta di Bosco Magnano, la faggeta di Cozzo Ferriero, la lecceta di Buonvicino e la faggeta-abetina di Terranova-San Severino)  è stata la volta della magnifica acereta di Alessandria del Carretto (CS). 

È un bosco unico e straordinario. Non si ha notizia nel nostro Paese, al Sud, al Centro come al Nord,  di un’acereta di 50 ettari di alto fusto in cui si possono ammirare tutte le specie di aceri presenti nella penisola. Una vera e propria collezione naturale di aceri.

L’acero di monte (Acer pseudoplatanus), l’acero opalo (Acer opalus subsp. obtusatum), l’acero del Lobel (Acer lobelii), l’acero campestre (Acer campestre), l’acero riccio (Acer platanoides) e ai margini assolati l’acero minore (Acer monspessulanum).

L’acero di monte la fa da padrone e lo troviamo, dominante, in tutti e 5 i plot (aree di saggio) allestiti per i rilievi. Quest’ultimi effettuati  secondo il protocollo predisposto dalla Direzione scientifica del progetto coordinata dal Prof. Carlo  Blasi del CIRBFEP dell’Università  Sapienza di Roma, hanno riguardato la struttura del popolamento (altezze e diametri degli alberi), della necromassa a terra e in piedi oltre ai rilievi dendrocronologici. Contestualmente sono stati eseguiti i rilievi floristici attraverso l’identificazione di tutte le specie presenti nello strato arboreo, arbustivo ed erbaceo. 

I primi sono stati eseguiti dai ricercatori della Scuola di Scienze Agrarie, Forestali Alimentari e Ambientali (SAFE) dell’Università della Basilicata, diretti dal Prof. F. Ripullone e i secondi dai botanici del Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra (DiBEST) dell’Università della Calabria, Liliana  Bernardo, Domenico Gargano e Nicodemo Passalacqua.

Tratti di bosco con altezze anche superiori a 30 metri (è stato misurato un acero di 36 metri) e diametri medi superiori a 50 cm, piante con fusti contorti e a volte bitorzoluti (a causa di passate e ripetute sgamollature), offrono un colpo d’occhio straordinario di antica foresta ricca di vita.
 
Non potevano mancare due aceri monumentali (censiti proprio nelle adiacenze dell’ultimo plot) con misure eccezionali, da aggiungere al nostro Data Base degli alberi monumentali (138 alberi che ora diventano 140). Il primo con una circonferenza di 5,20 metri alla base e il secondo di 4,60, entrambi con altezza superiore a 30 metri.

Uno degli aspetti che ha maggiormente colpito il gruppo di ricercatori  è la straordinaria biodiversità a livello di specie che il bosco evidenzia. Per limitarci al solo strato arboreo si incontrano oltre agli aceri il frassino maggiore (Fraxinus excelsior) e il frassino meridionale (Fraxinus angustifolia), l’ontano napoletano (Alnus cordata), il cerro (Quercus cerris). Ma le sorprese, percorrendo il bosco non finiscono e capita di incontrare l’olmo montano (Ulmus glabra), il tiglio selvatico (Tilia cordata) e perfino un esemplare (importante per dimensione) di carpino nero (Ostrya carpinifolia).
 Non poteva mancare, nella parte più a monte, l’abete bianco (Abies alba), con pochi vecchi individui dalle scure chiome, relitti di popolamenti un tempo molto più estesi.

Da notare che due di queste specie arboree, l’acero riccio e il frassino maggiore, sono alberi tipici della flora del centro-nord Europa e della penisola scandinava. In particolare l’acero riccio viene segnalato in letteratura sino al centro Italia (Gellini-Grossoni 1997). 
 
Molti sono gli interrogativi  che questo magnifico bosco pone, non solo sul piano scientifico ma anche su quello della storia sociale. 
Nel nostro Paese non esistono formazioni forestali naturali di alto fusto, di tale estensione, a dominanza di aceri. Al più nuclei o boschetti di limitata estensione. Insomma, gli aceri sono alberi “poco sociali”, sporadici, e non formano veri e propri boschi. O almeno questo era il sentire comune.
Quale combinazione di fattori ecologici ha fatto si che un popolamento così esteso si affermasse  circa 150-200 anni fa (età presumibile del bosco)?
Forse una catastrofe naturale? Un’immensa frana? Un incendio distruttivo?

Cosa altrettanto interessante. Perché l’acereta si è conservata nel tempo? o meglio perché è stata conservata dagli uomini?  L’uso di ricavarne frasca da foraggio non è sufficiente a dare una risposta esaustiva. Forse una “difesa” costituita dalla vecchia legislazione borbonica, molto attenta alla protezione idrogeologica? Solo ipotesi di lavoro.

Insomma l’acereta di Alessandria è un bosco ricco di biodiversità e di misteri al pari del “bosco vecchio” di Dino Buzzati che custodiva un segreto. 
L’auspicio è che alla fine delle ricerche si riesca a dare delle risposte agli interrogativi che la magnifica acereta di Alessandria del Carretto pone.

UFFICIO STAMPA 
ENTE PARCO NAZIONALE DEL POLLINO

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